Il contrabbando nasce come reazione alla volontà di un potere di imporre limiti, o addirittura divieti, al passaggio di merci e persone da una parte all’altra di un territorio. La parola contrabbando significa proprio “andare contro” (cioè, contra) il bando, il decreto emesso dall’autorità governativa, dal potere costituito. In tutto il mondo, ed in tutte le epoche, ci sono sempre stati poteri che si ritenevano in diritto di imporre bandi di questo tipo, e contrabbandieri che contravvenivano a quanto stabilito. Nelle nostre zone padane, l’area del contrabbando per eccellenza è quella di confine tra Como ed il Canton Ticino, e più in particolare la Valle Intelvi e le valli dell’Alto Lago, caratterizzate dalla presenza di forre e canaloni, con pendii ripidi e scoscesi che permettevano ai contrabbandieri di sfuggire alle ricerche delle guardie di finanza italiane.
Tutti i poteri che si sono succeduti lungo i secoli, dagli Spagnoli ai Francesi, dagli Austriaci agli Italiani, hanno sempre dovuto fare i conti con gli spalloni del Lario. Questo perché, dall’altra parte del confine c’erano gli Svizzeri, i quali, mancando di quasi tutte le materie prime, avevano bisogno di ottenerle all’estero, e per assicurarsele erano decisi a qualunque azione. Anche a sostenere – o perlomeno a tollerare – attività considerate illegali nei paesi confinanti.
Nel tempo, le merci contrabbandate sono cambiate, adattandosi alle condizioni del mercato. Il Ducato di Milano, per esempio, lottò strenuamente contro l’esportazione di granaglie e biade lombarde nei territori elvetici, allora nemici dello stato meneghino, al quale contendevano il controllo su Ticino, Valtellina e Valchiavenna.
L’imposizione, il 31 dicembre del 1803, di monopoli su sali, tabacchi e polveri da sparo da parte della Repubblica Italiana costituita da Napoleone Bonaparte dopo la sua prima spedizione nella penisola diede il via all’epoca romantica del contrabbando lariano: è allora che prende il via quell’incessante flusso di merci di monopolio da una parte all’altra del confine. Alle merci si aggiunsero, durante gli anni del Risorgimento, le persone: i patrioti italiani, per sfuggire ai poliziotti austriaci, ricorsero spesso all’aiuto degli spalloni, ed alla loro conoscenza dei sentieri che attraversavano la frontiera montana.
Gli svizzeri non adottarono mai sanzioni contro il contrabbando: al contrario, ne trassero grande profitto. Nel 1848, a Brissago, nella parte elvetica di Lago Maggiore, venne impiantata una fabbrica di sigari. Finanziata dai fuoriusciti italiani, produsse sigari del tutto uguali a quelli della fabbrica di Venezia, autorizzata e di controllo imperiale. Il danno per l’erario asburgico fu enorme, come testimonia la violenza della repressione attuata nei confronti delle popolazioni delle valli lariane.
L’atteggiamento più che permissivista dell’amministrazione confederata si ripropose molto più avanti, negli anni Cinquanta del Novecento, quando avrebbe ribattezzato il contrabbando di sigarette e affini Esportazione 2, di fatto classificandolo tra i commerci leciti per legge.
Tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, il Regno d’Italia costruì la rete di confine, intesa ad isolare i territori montani delle due parti del confine e porre fine ai commerci di frodo. Il risultato fu, invece, un aumento della solidarietà tra le popolazioni lariane e ticinesi tanto che, si può, dire, il contrabbando finì per coinvolgere anche coloro che, fino a quel momento, ne erano rimasti alla larga, trasformandosi nella maggiore – ed in qualche caso, unica – industria di quelle zone.
Neppure il Fascismo e la seconda guerra mondiale, con tutti i suoi problemi di approvvigionamenti derivanti dai blocchi del commercio, riuscirono a vincere il contrabbando tra Como e Canton Ticino. Anzi, negli ultimi anni del conflitto uno dei prodotti più contrabbandati fu il riso, di cui i ticinesi – lombardi per lingua e cultura – erano particolarmente ghiotti. Pur di sottrarlo alle requisizioni tedesche, i contadini padani preferivano sfidare le guardie di confine, ma vendere il loro riso a Lugano e Bellinzona.
Il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta segnò la fine dell’epoca romantica del contrabbando e dello spallone, soppiantati dalla tecnologia e da sistemi di commercio illegale meno romantici, che non lasciano spazio ad una figura nata dal bisogno e dalla fame. Non più zucchero, tabacco, orologi, ma droga, uranio, soldi, immigrati clandestini, come dimostrato dal triste fenomeno dei passatori. Le organizzazioni che lo curano non hanno nulla a che fare con le vecchie combriccole di paesani. Semplicemente schiacciando un tasto di invio di un computer, si possono contrabbandare più soldi che durante l’intero periodo d’oro del contrabbando lariano. Il progresso economico e sociale delle popolazioni ticinesi e dell’Alto Lago, poi, ha fatto il resto, eliminando quelle sacche di povertà che fino al dopoguerra servivano da serbatoio per le organizzazioni di contrabbandieri. La gente si è imborghesita: chi mai, oggi, se la sentirebbe di arrampicarsi sui sentieri ripidi che costeggiano il Sasso Gordona, portando sulla schiena trenta o quaranta chili di zucchero, sigarette, orologi e sfidando i proiettili e le trappole delle guardi di finanza? Rimane l’eredità culturale di un’epoca che è durata secoli e che ha costituito l’asse portante di una popolazione e del suo tentativo di affrancarsi dalla schivitù della povertà.